1937-'38: Anche
testaccio traballa!
La formula a 16 restò salda (fino alla sospensione bellica) malgrado
cominciassero le polemiche, proprio come adesso, per il ritorno a 18.
Inizio: 12 settembre 1937, fine 24 aprile 1938.
Squadra titolare: Masetti, Monzeglio, Gadaldi, Frisoni, Bernardini, Donati,
Mascheroni, Serantoni, Michelini, Subinaghi, Borsetti. Riserve: Fusco, Scaramelli,
Amadei, Mazzoni. Allenatore: Guido Ara. Campo: Testaccio; dal 7 novembre allo
Stadio Nazionale, alternandosi con la Lazio.
Conquista il titolo l'Ambrosiana (ex-Inter, ma la società aveva ottenuto
di appaiare i due nomi) con punti 41. Si riaffaccia la Juventus, seconda p.
39, poi Milan, Genoa, Bologna. La Roma è sesta, p. 36. La Lazio ottava,
32.
Partite vinte 14, pareggiate 8, perdute 8. Gol segnati 44, incassati 31. Capocannoniere:
Michelini, 16 gol.
Nella formazione si affacciano alcuni nomi che quattro anni dopo saranno
tra i protagonisti del trionfo. Già evidenza il roccioso e dinamico
Donati, va notato un nome che diventerà celeberrimo: Amedeo Amadei,
fornaretto frascatano, scelto nella leva annuale del '36 e lanciato con prudenza
in prima squadra nella stagione successiva, a 16 anni. Molte speranze aveva
suscitato Michelini, venuto dalla Lucchese, che all'esordio aveva segnato
tre gol ai fiorentini. Era discontinuo ma tra applausi e critiche alla fine
aveva pur segnato 16 gol. Lo seguì il vercellese Borsetti, poi scudettato,
con 11. I due derby fornirono ai giallo rossi tre punti: erano ancora occasioni
in cui la Lazio masticava male, e si parlò di un «complesso».
Come se risentisse del calo della squadra, il campo Testaccio fu dichiarato
pericolante nel settore dei «distinti». La folla era cresciuta
alquanto e le autorità intervennero ordinando i lavori di rafforzamento
che richiesero circa un anno. La squadra passò non senza rammarico
allo stadio di via Flaminia (che invece le portò fortuna perché
doveva poi vincervi lo scudetto). Anche la sede di via Monterone fu abbandonata
e il presidente Betti scelse un ampio appartamento in via del Tritone, verso
piazza Barberini. Ivi rimasero a lungo, anche alcuni anni dopo la fine della
guerra.
Ormai la discontinuità era un vizio permanente, in casa e fuori; sicché
si restò in limiti appena decorosi. Non era servito molto il cambio
dell'allenatore. Il lungo ed elegante Guido Ara, laterale della celebre «mediana
di ferro» vercellese Ara - Milano I - Leone del tempo dei pionieri,
era metodico lavoratore, freddo e fanatico della disciplina. Fu quello che
oggi si direbbe un programmatore; qualità preziosa, che non trova però
molta considerazione in un ambiente come quello del calcio dove si vuole tutto
e subito. Rimase fino allo scorcio del '39-'40; e lasciò il posto al
più fortunato Schaffer.
Tratto dal libro AS Roma da Testaccio all'Olimpico (libro edito nel 1977)
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